Un problema sociale che si sta purtroppo affermando in questi ultimi anni tra i nostri giovani è il fenomeno comportamentale importato dal Giappone rinominato “Hikikomori”.
In Italia si stima che un individuo ogni 250 sia soggetto a comportamenti a rischio di reclusione sociale, nel 2018 si sono stimati oltre 100.000 casi di hikikomori. Il disturbo è spesso associato alla cultura nerd e geek, o alla semplice dipendenza da internet (le stime parlano di 250.000 adolescenti italiani che trascorrono più di tre ore al giorno tra Internet e videogiochi), limitando il fenomeno a una conseguenza del progresso della società e non a una chiara scelta volontaria del soggetto.
“Hikikomori” è un termine giapponese utilizzato per indicare un individuo che, volontariamente, si è ritirato dalla vita sociale per un periodo che può andare dai sei mesi fino a molti anni. È composto da due parole: “hiku” che significa “assicurarsi un posto sicuro” e “komoru” che significa “qualcosa di nascosto o che è sparito”. Un ragazzo sceglie di isolarsi poiché non vuole far parte della società scegliendo un’autoreclusione estrema.
Gli hikikomori hanno sviluppato una visione dolorosa del mondo, il loro isolamento non deriva da una psicopatologia, ma da una visione negativa e cinica della realtà circostante. Per poter parlare di hikikomori è necessario che nel momento in cui l’individuo decide di abbandonare definitivamente la vita sociale non ci siano altre patologie, tuttavia con il passare del tempo è probabile che queste si vengano a formare: “Hikikomori non è una malattia, ma produce malattia”.
Il ritiro in hikikomori nasce dalla necessità che ha il ragazzo di prendersi un momento di pausa dalle pressioni che sente quotidianamente. Inizialmente infatti è probabile che il ragazzo si senta bene, tuttavia con il tempo c’è il rischio che si possa sentire “incastrato” e che possa sviluppare delle patologie come la dipendenza da internet e la depressione. Gli eventi che spesso scatenano questo fenomeno sono legati al mondo della scuola e possono essere il bullismo o ripetuti insuccessi scolastici.
Generalmente l’isolamento avviene in tre fasi. Nella prima fase si inizia a percepire un malessere legato alle relazioni sociali, di conseguenza inizia una fase di isolamento in cui, nonostante si inizi a saltare la scuola, si mantengono alcune relazioni principali. Nella seconda fase si incrementa la tendenza alla solitudine, qui si intensifica anche l’utilizzo di internet e dei vari dispositivi elettronici. Infine nella terza e ultima fase si abbandona qualsiasi contatto con il mondo esterno ed è qui che è più probabile che si sviluppino delle psicopatologie. Tuttavia queste tre fasi non vanno viste come una sequenza rigida, infatti, il soggetto può passare da una fase all’altra alternando periodi di miglioramento con periodi di regressione. L’intervento risulta essere molto complicato e più passa il tempo e più sarà difficile intervenire. Le tipologie di intervento principale sono la psicoterapia individuale (nei casi più gravi anche domiciliare) e incontri di parent training.
In ogni caso, conoscere questo fenomeno, magari discutendone con i componenti della famiglia, è necessario per saper cogliere tempestivamente i campanelli d’allarme e rivolgersi a uno specialista non appena si manifestino nel soggetto una o più caratteristiche tipiche di questa condizione.